Le case della comunità rappresentano una delle novità più rilevanti dell’opera di ridefinizione dell’assistenza sanitaria in Italia, che punta a rafforzare la propria presenza e capacità di intervento sul territorio. C’è attesa e curiosità sull’evoluzione del progetto, ma non mancano interrogativi e carenze di informazione. Del tema si è occupata anche Cittadinanzattiva nell’ambito del suo recente documento “Salute di comunità: dal bisogno alla soluzione” (vedi sul nostro sito qui), in un capitolo intitolato appunto. “Le case della comunità: luoghi da raggiungere o servizi da attivare?”

Il punto di vista di Cittadinanzattiva sulle case della comunità sintetizzato in una domanda: luoghi da raggiungere o servizi da attivare? Secondo l’associazione, bisogna evitare un modello che replichi la rete ospedaliera.

Cittadinanzattiva, convinta sostenitrice della necessità di potenziare la sanità territoriale e di prossimità, avanza le proprie perplessità sul modello di case della comunità così come delineato dal documento dell’Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) dello scorso settembre.

“Sebbene il documento -argomenta il rapporto di Cittadinanzattiva- sembri restituire l’immagine di un sistema incentrato sulla cura rivolta al cittadino, facendo presagire la realizzazione di una medicina di iniziativa, in grado di fornire formazione e informazione, diventando punto di riferimento per un intero territorio, restano delle perplessità sull’efficacia di un modello che sembra replicare quello della rete ospedaliera”.

“Se da un lato -continua l’associazione- la creazione di nuove strutture contribuisce ad aumentare una possibile offerta di servizi, con la promessa di garantire una presa in carico dei pazienti a domicilio, generando un sistema di diagnostica precoce e di primo livello, valorizzando così il ruolo del territorio, dall’altro sembra sacrificarsi la flessibilità dell’intero sistema generando nuovi luoghi da raggiungere e lasciando al cittadino/paziente l’onere della mobilità e dell’attivazione dei servizi stessi”.

Infatti, “l’ubicazione delle case di comunità sembra privilegiare, basandosi sui numeri, i centri urbani densamente popolati, penalizzando ancora una volta le aree interne e periferiche, già oggi carenti di servizi e che vedrebbero, in alcuni casi, la presenza di un’unica struttura a diverse decine di chilometri se non centinaia”.

“Le case della comunità dovrebbero essere dei centri logistici/operativi, in grado di organizzare servizi domiciliari, avvicinando le cure alle persone e generando processi di empowerment culturale sulla salute”.

Secondo il rapporto, sembra “riproporsi uno schema già visto e non funzionale rispetto alle esigenze di salute del cittadino. Ancora una volta si predilige la logica dei luoghi a quella dei servizi e si organizza un sistema che mira a curare la malattia e non la persona. Le case della comunità dovrebbero essere, invece, dei centri logistici/operativi, in grado di organizzare servizi domiciliari, avvicinando le cure alle persone e generando processi di empowerment culturale sulla salute. Concentrare medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, infermieri di famiglia e di comunità, oltre che specialisti ambulatoriali e altre figure professionali in un unico luogo, replica il modello un modello ospedaliero che poco sembra avere a che fare con una riforma della medicina territoriale che è il vero obiettivo che dobbiamo raggiungere per garantire salute”.

Pertanto, “al modello ospedale-centrico va affiancato un sistema di medicina territoriale efficace, in grado di sviluppare reti di monitoraggio e assistenza, in grado di filtrare la domanda e di gestirla, ove necessario, direttamente sul territorio, evitando le ospedalizzazioni improprie e capace di contribuire all’emersione di una cultura di prevenzione e di salute diffusa intesa come bene comune, non una semplice tappa intermedia in luoghi comunque distanti dal domicilio e che non tutelano le aree scarsamente popolate, interne o periferiche”.

Secondo Cittadinanzattiva, risulta perciò “sempre più necessario che gli ospedali diventino parte integrante di una rete di servizi territoriali che ha al centro le case della comunità quali hub logistici e non solo come repliche in miniatura di presidi ospedalieri”.

Un articolo correlato lo potete leggere sul nostro sito qui.